29 Maggio 2018

Illegittimità dell’installazione di un impianto di videosorveglianza e tutela della privacy

Un interessante caso sottoposto all’attenzione dei Giudici della terza sezione del Tribunale di Catania riguarda la richiesta di rimozione di un impianto di videosorveglianza illegittimamente installato dall’inquilino (che per comodità indicheremo a seguire come “Tizio”) di una villetta composta da tre corpi di fabbrica di cui due dallo stesso detenuti.
Tizio apponeva arbitrariamente, all’esterno dei locali da lui detenuti, delle telecamere, per sedicenti motivi di sicurezza (avendo in precedenza subito un furto).
Il proprietario, che peraltro abita stabilmente la restante parte della villetta, ha proposto ricorso ex art. 703 c.p.c. e 1170 c.c., per il predetto motivo e per altre condotte illegittime poste in essere da Tizio, per manifesta turbativa del possesso e violazione del diritto alla privacy.
In particolare si evidenziava che le telecamere oltre a pregiudicare il pacifico possesso del ricorrente violano il diritto alla privacy del ricorrente, secondo quanto previsto dal Dlgs n. 169/2003 e dalle norme di attuazione per la protezione dei dati personali, inquadrando spazi di propria esclusiva pertinenza.
Nel panorama odierno dove i problemi connessi alla sicurezza e alla tutela della privacy, sono all’ordine del giorno, soprattutto nei condomini, il caso posto all’attenzione offre una chiave di lettura per comporre i, talvolta, contrapposti interessi.
Occorre prima evidenziare i principi di diritto vigente in materia.
In particolare, non può dubitarsi che anche l’immagine di una persona, in sé considerata, quando in qualche modo venga visualizzata o impressa, possa costituire “dato personale” ai sensi del Dlgs n. 196 del 2003, art. 4, noto anche come “codice privacy”. In tal senso depongono specifiche decisioni del garanta per la protezione dei dati personali (da ultimo, 18 giugno 2009 numero 1623306), nonché la decisiva circostanza della previsione, nell’ambito del codice privacy, di una specifica norma (articolo 134) in materia di videosorveglianza.
Per quanto attiene al tema della videosorveglianza privata, l’unica norma esistente è quella introdotta dalla recente riforma del condominio del codice civile con il “nuovo” art. 1122 c.c. ter c.c., che però si limita a ritenere ammissibile una decisione assembleare a maggioranza qualificata che consenta l’installazione.
Tuttavia sono intervenuti diversi provvedimenti in materia di videosorveglianza del Garante per la protezione dei dati personali (da ultimo, in data 8 aprile 2010 – par. 6.1) in cui si afferma che l’installazione delle telecamere, se è effettuata nei pressi di immobili privati ed all’interno di condomini e delle loro pertinenze (es. posti auto, box ecc), benché non sia soggetta al codice quando i dati non sono comunicati sistematicamente o diffusi (ai sensi dell’art. 5, co. 3 del Codice), richiede comunque l’adozione di cautele a tutela dei terzi. Al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615 c.p.), l’angolo visuale della ripresa deve essere limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza, ad esempio antistanti all’accesso alla propria abitazione, escludendo ogni forma di ripresa di immagini relative ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale) o antistanti all’abitazione di altri condomini. Il codice trova invece applicazione nel caso di utilizzazione di un sistema di ripresa di aree condominiali da parte di più proprietari o condomini, oppure dal condominio o dalla relativa amministrazione. L’installazione di questi impianti è ammissibile esclusivamente in relazione all’esigenza di preservare la sicurezza di persone e la tutela di beni da concrete situazioni di pericolo, di regola costituite da illeciti già verificatisi, oppure nel caso di attività che comportino, ad esempio, la custodia di danaro, valori o altri beni (recupero crediti, commercio di preziosi o di monete aventi valore numismatico). La valutazione di proporzionalità va effettuata anche nei casi di utilizzazione di sistemi di videosorveglianza che non prevedano la registrazione dei dati, in rapporto ad altre misure già adottate (es. sistemi comuni di allarme, blindatura o protezione rinforzata di porte e portoni, cancelli automatici, abilitazione degli accessi).
Nel caso in esame veniva rilevato che 1) l’impianto di videosorveglianza era stato installato dal detentore, senza il consenso del proprietario dell’immobile, abitante tra l’altro la parte restante dell’immobile, 2) dalla ctu espletata emergeva che l’impianto costituito da due telecamere riprendeva sia un piazzale utilizzato come spazio comune, sia una porzione di terreno di uso esclusivo del proprietario ed inoltre che l’inquadratura era facilmente modificabile. In particolare, le telecamere riprendevano anche spazi di esclusiva proprietà e possesso del ricorrente, spazi che non possono considerarsi “appartenenze” di luoghi di “domicilio” e di “dimora privata”, ai quali si riferisce l’art. 614 c.p. (richiamato dall’art. 615 c.p. che espressamente recita “_____________), ed inoltre non erano state dimostrate serie e specifiche ragioni di sicurezza, in suscettibili di soddisfacimento ad opera di altri sistemi di protezione e tutela che non compromettano i diritti dei terzi, nell’ottica di un bilanciamento dei contrapposti interessi.
Non ha invece trovato alcun accoglimento quell’orientamento della Cassazione che ritiene in materia non sufficiente che un certo comportamento venga tenuto in luoghi di privata dimora, ma occorra, altresì, che esso avvenga in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile a terzi, precisando che se l’azione – pur svolgendosi in luoghi di privata dimora – può essere liberamente osservata dagli estranei, senza ricorrere a particolari accorgimenti (ad esempio spazi esterni al fabbricato condominiale, ovvero intercorrenti fra il cancello ed il portone di ingresso), il titolare del domicilio non può accampare una pretesa alla riservatezza.
In forza di quanto sopra evidenziato il Tribunale di Catania, sussistendo sia il fumus boni iuris della tutela invocata sia il periculum in mora che, in conformità alla giurisprudenza prevalente, è da ritenersi in re ipsa, vista la violazione del diritto alla riservatezza, sicchè trattandosi di diritti fondamentali della personalità, gli stessi ad ogni lesione si consumano, senza possibilità di ripristino dello status quo ante, ordinava la rimozione immediata delle telecamere di videosorveglianza installate.
Per mera completezza aggiungiamo che dopo la notifica dell’ordinanza, nel termine di giorni trenta assegnato dal Giudice, le telecamere sono state rimosse.
Avvocati Claudia Caruso e Gaetano Fiamma
UPPI Catania